GIUSY & TINA

GIUSY e TINALa mia battaglia contro il tumore al seno ha inizio nel 2004, come completamento – non di certo desiderato – di un periodo già difficile e travagliato della mia esistenza, dove delusioni e profonde sofferenze ricevute da persone molto vicine, avevano innescato in me un senso di inquietudine e di malessere interiore.

Lo stato confusionale nel quale già mi trovavo, mi aveva fatto perdere non solo il coinvolgimento emotivo verso tutte le piccole cose giornaliere, il lavoro, gli affetti, la famiglia, bensì anche l’interesse primario verso la mia persona: immagine e salute.

Il mio corpo, infatti, sembrava riflettere esteriormente la perdita di stimoli nei confronti della vita; tralasciato, inerme, non curante dei ritmi e dei bisogni fisiologici, dimagrito, provato.

La mia non partecipazione agli eventi che accadevano attorno, era tale da farmi trascurare anche i dettagli più importanti. Mi recai a fare un esame mammografico in maniera quasi coatta, forzata da un’amica che insistette tanto per accompagnarla e poi sottopormi anch’io al controllo.

L’esito dell’esame fu una vera doccia fredda. Impassibile, quasi estraniata da quella situazione, non riuscivo a credere alla diagnosi pronunciata. Satura di sofferenza, mi sentivo impotente, disarmata verso un dolore così grande, tanto da non poterlo accettare,  da convincermi che fosse una follia, un errore di valutazione da parte del medico.

Presa coscienza della grave realtà, il mio primo pensiero andò subito a mamma. La paura della parola Cancro, associata a Morte, era difficile da affrontare e da rivelare ad una persona cara, soprattutto perché madre, che nella sua di vita, aveva già ricevuto tanti, troppi dolori per poter sopportare anche questo, il mio. Subito dopo ci fu uno scorrere di pensieri su quello che sarebbe presto avvenuto, del cambiamento inevitabile immaginando una vita da malata: l’intervento da subire, le terapie, l’ambiente ospedaliero, la paura di non farcela, la solitudine.

Il timore di dirlo alla mia mamma anziana, il grande senso di colpa nel darle questo immenso dolore, fu più sofferto della notizia della malattia stessa. Non le dissi nulla sul mio stato di salute, tenendo tutto il male solo per me, come un segreto da custodire, senza far trapelare mai un cenno di sconforto o cedimento. Andai avanti così per circa due mesi, credendo che il suo sguardo vigile su di me non cogliesse alcuna sfumatura di preoccupazione, mentre Lei, ignara delle mie sofferenze, nel suo cuore di mamma intuiva proprio tutto.

Tenere per me tutte le paure, i tormenti, i sensi di colpa nei suoi confronti, era come avere un diavolo che mi divorava dall’interno. Vivevo il mio male come una punizione, di cui però non avevo alcuna responsabilità. Le uniche persone con le quali condividevo il peso della malattia erano un’amica e una cugina; con loro non ero costretta a fingere, ma potevo essere libera di esprimere tutto, con la parola o con un pianto. Mi sono state vicine nei momenti di grande sconforto, sempre pronte a rassicurarmi, ad infondermi fiducia verso la vita e soprattutto verso la guarigione. In quel tempo non conoscevo nessuno che stesse affrontando un tumore al seno o che l’avesse sconfitto con le giuste cure; sapevo della malattia e del suo percorso solo tramite racconti tramandati di donne lontane a me, il che mi faceva sentire ancora più sola e indifesa a combattere contro un male più grande di me.

Solo il giorno dell’intervento mamma venne a sapere del mio cancro alla mammella, quando un medico la informò su tutto, ciò che avevo e a cui sarei andata incontro nella speranza fiduciosa di una possibile guarigione. Lei, mamma coraggio, incassò il colpo con compostezza e profonda umiltà, preoccupandosi della mia reazione, cercò ancora una volta di proteggermi chiedendo al medico di non dirmi nulla circa mia condizione; credeva che io non sapessi già di essere malata.

Un atto di amore immenso il suo verso me, il mio verso lei, che si manifestava in un silenzio protettivo fra noi.

Da quel momento tutto fuori e dentro di  me cambiò. La malattia trasformò il mio corpo, la mia immagine di donna, la mia personalità. Lo stato di forte stress che mi aveva già debilitato, scarnito, scavato profondamente nell’anima, venne accentuato nei tratti marcati, di un dolore inesploso, che delineavano il mio volto, stanco, invecchiato, malato.

Non riuscivo a vedere alcuna bellezza esteriore nella mia immagine riflessa allo specchio; solo una figura amorfa proiettata, incompleta, alterata nelle sembianze umane di donna, priva di un seno. L’intervento  non  è  stato  demolitivo,  non  mi  è  stata  asportata  la  mammella,  come  avevo immaginato più volte; una quadrantectomia per togliere il male e salvaguardare la restante parte, senza la necessità di una ricostruzione. Ma il mio seno ha perso la sua forma naturale, la sensibilità e mostra evidenti segni di ciò che ha subito, vissuto insieme a me.

Tutto  il  corpo  ha  subito  mutamenti, interni  ed  esterni, in  seguito  alle  terapie  ormonali, alla chemio. Ho visto accelerare in me un processo d’invecchiamento non ancora corrispondente alla mia età;  ho dovuto accettare la menopausa indotta, fare i conti con le conseguenze ormonali, la perdita dei capelli, poi completamente rasati.

E’ stato come vedere un albero florido, nella sua massima espressione matura, tutto d’un tratto spoglio, arido, privo di bellezza e di vita.

Questa era l’immagine che percepivo di me durante tutto il periodo della malattia; mi sentivo lasciata andare ad una corrente che fluiva veloce verso una direzione sconosciuta alla quale non riuscivo ad oppormi. Vedermi con i capelli rasati fece aumentare in me il senso di debolezza e “nudità”; non potevo sopportare di mostrarmi debole e malata ai miei amici, ai familiari, soprattutto ai bambini, temevo di spaventarli con la mia immagine diversa. Ma ero solo io a sentirmi diversa in quello stato di salute impoverito di tutte le migliori risorse, nessuno dei miei cari faceva distinzione con il prima e il dopo della mia immagine, né tanto meno i bambini – che si accorgono sempre di tutto – si allontanarono da me in quella fase delicata che quasi mi faceva provare vergogna, anzi, li ritrovavo sempre accanto pieni di premure e di carezze per il mio capo nudo coperto da bandane colorate. Anche in quell’occasione la mia mamma diede prova d’amore nei miei confronti: rasò completamente i suoi capelli bianchi per essere uguale a me e non farmi provare quella diversità muta che mi logorava nei pensieri e nell’anima.

Si fece carico del mio e del suo dolore, cercando di mascherare la cruda realtà, di dare un senso di “normalità” al nostro intimo quotidiano stravolto. Diventò l’altra parte dello specchio, il riflesso vivo, la metà completa del mio essere nullo, il mio supporto in tutti i momenti atroci e critici, nonostante l’avanzare della sua età, la mia ancora di salvezza, il mio unico legame con la vita.

Non mi fece mai mancare tenerezza e protezione, con le sue poche parole e i gesti giusti. Modificò le sue abitudini giornaliere per adattale a me, declinando spesso le sue esigenze per dare priorità alle mie, come quando ero bambina e Lei ancora ragazza, e sola, divise l’intera sua esistenza con me, rinunciando chissà a quanti sogni e desideri, messi da parte per dedicarsi completamente alla sua bimba. Abbiamo vissuto sempre in simbiosi io e Lei, in funzione l’una dell’altra senza il bisogno di nessuno, fino a quando il cancro s’insinuò nella nostra vita con lo scopo, ingiusto, di separarci. Ma la battaglia non l’ha di certo vinta. Ci ha sommesso, piegato, trasformato entrambe, ma non sfinito fino alla resa. Il cancro ci ha reso unite più che mai, legate  da quell’amore profondo di cui solo pochi conoscono l’essenza.

Tutto il percorso della malattia ha cambiato profondamente il mio essere Donna, la mia persona, e oggi a nove anni di distanza lo posso testimoniare con quello che sono, con quello che vivo in ogni aspetto della mia esistenza che, a gran forza e a piene mani, mi sono ripresa.

Accettare la malattia, le terapie con le conseguenti perdite, è stato come arrivare e fermarmi ad un estremo limite, per potere poi raggiungere una nuova, maggiore consapevolezza di me.

Il corpo si è inevitabilmente trasformato nelle sue forme, adesso piene, morbide, smussate.

Anche il volto riflette i segni del mutamento avvenuto, fuori e dentro di me, nei tratti addolciti, nella luminosità dello uno sguardo, adesso sereno, in pace con quello che oggi è solo un lontano ricordo, di cui riesco ancora a percepirne l’eco assordante.

I capelli sono ricresciuti forti, morbidi, canditi e lucenti … come una pianta rinvigorita, in tutto suo

splendore, che non porta alcuna traccia dell’inverno asciutto trascorso.

La malattia mi ha migliorato in tutte le mie percezioni, nel rapporto con gli altri, ma soprattutto con me stessa e con la mia mamma.

Oggi, dopo quello che ho vissuto e che porto con me, nel mio bagaglio di esperienze vissute, superata la malattia, mi sento una persona nuova che guarda la vita con gioia, fede e speranza, sempre attenta ad ogni dettaglio mai trascurabile, cosciente di essere fortunata nel poter godere ancora della mia integrità, di donna perfettamente piena di salute e di vita. Forte e guarita, adesso sento di essere io la metà robusta di una madre che inizia a perdere le sue innate forze e necessita di amorevoli attenzioni e cure, quelle mai ricevute da bambina.

Questa consapevolezza mi rende più sicura nell’affrontare la quotidianità, le persone che incontro e mi tendono una mano, solo per colmare un senso di vuoto o di solitudine, che  in prima persona, in passato ho patito. Sento di poter essere, per le donne che affrontano la malattia, uno specchio nel quale riflettersi, ma non per vedere la stessa immagine amorfa e sofferente che vedevo io da malata, bensì per intravedere in me quel percorso di guarigione che porta alla luce.

La  serenità  che  ho  raggiunto,  dopo  i  contraccolpi  inaspettati  della  malattia  e  delle  fasi  di assestamento, nasce anche dall’aver conosciuto il forte senso di solidarietà e di condivisione con altre donne che hanno affrontato le medesime vicissitudini per sconfiggere un male, da tutte, sempre temuto. Percepire di non essere da sole, sentire la forza d’animo di altre donne nel combattere per la vita, è stato come ricevere un abbraccio intenso, di più braccia, insieme, avvolte per esprimere unità, coraggio, speranza.

Il calore di questo “abbraccio solidale” io l’ho scoperto avvicinandomi all’Andos, che proprio in quel periodo aveva da poco inaugurato il suo Comitato a Catania.

In punta di piedi, timida ed impaurita com’ero, sono entrata un ambiente nuovo dove poter dar voce alle mie paure inespresse e condividere la mia esperienza della malattia con altre donne in via  di guarigione come me. Con  il passare del tempo, con il sentirmi parte integrante di un qualcosa di importante, in comunione, ho cominciato ad acquisire sempre più sicurezza in me.

Ciò ha rafforzato la mia interiorità, il senso di responsabilità nei confronti della vita e di chi mi circonda, e che mi induce a testimoniare con grande umiltà e altrettanta umanità, la Donna che sono oggi dopo aver combattuto contro un tumore al seno.

Testimonianza tratta dal libro del Dott. Lorenzetti “Specchio delle mie brame”

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